Chi tra di voi abbia provato a sfogliare online i Piani strategici di molte Università (immagino pochi…) sarà stato come me colto da un senso di smarrimento e sconforto. Questi documenti, che contengono le linee di politica generale di ogni Ateneo, presentano soprattutto fotografie. Schiere di ragazzi sorridenti e studentesse dai capelli lunghi, preziosi scorci architettonici antichi, macchinari modernissimi, grafici, disegni e animazioni a volontà. I contenuti? Rimangono sullo sfondo, dominano i claim e le headlines, come le chiamano i pubblicitari.

L’estetizzazione della new university, è per certi versi un fenomeno inevitabile, dovuto all’inserimento delle istituzioni universitarie in questa sorta di “mercato delle risorse”, dove ci contendiamo studenti, fondi nazionali ed europei, finanziamenti privati. Non sono di quelli che tuonano contro le Università ridotte ad aziende e l’aziendalizzazione dell’accademia: se non altro perché la parola “azienda” non è un insulto, anzi. Come nella gran parte delle cose umane, altrettanto importante di cosa fai è come lo fai.

In un mondo dove apparire rischia di diventare tutto, credo che, come Università, dobbiamo ricominciare a puntare sulla sobrietà e sui contenuti.  Questo ci darà un vantaggio competitivo (un plus, come direbbero i pubblicitari) impagabile. E poi è quello che sappiamo fare meglio, da nove secoli a questa parte.

P.S. Se poi gli obiettivi dichiarati da un Ateneo fossero accompagnati da qualche numero che consentisse di dire se sono stati raggiunti o meno non sarebbe aziendalismo ma trasparenza e responsabilizzazione.