In uno dei molti incontri che ho fatto negli ultimi giorni un collega mi ha chiesto per quale motivo dovrebbe votare per un Rettore umanista. Ho balbettato qualcosa, così su due piedi, perché non avevo mai considerato che “umanista” potesse essere anche (o soprattutto) un epiteto negativo. Certo, noi umanisti siamo accusati di vivere nel mondo delle nuvole, di irrisolutezza, di astrusità, di esercitare a oltranza e inutilmente lo spirito polemico. Però non avevo mai considerato le humanitates come una sindrome perniciosa.

Provo ora a rispondere al collega.

Questo Ateneo non ha avuto praticamente mai un rettore proveniente dalle discipline umanistiche. Il linguista Roberto Gusmani, Rettore tra il 1981 e il 1983, era un uomo di studio che, come mi disse di persona, accettò “per spirito di servizio” di guidare un Ateneo che era l’equivalente di un Dipartimento di oggi. Portare tutte le componenti culturali e scientifiche al vertice di un’Università generalista è segno di equilibrio e forza interni, che si basano anche su una ragionevole distribuzione, nel lungo periodo, dei compiti e degli oneri.

La maggior parte dei Rettori delle Università italiane vengono dagli ambiti ingegneristico-economico. Eventualmente giuridico o medico. Inserire in questa “visione consolidata” del sistema accademico una qualche forma di diversità biologica – provvisoria per carità – non è negativo: oltretutto rafforza la specie prevalente.

Poiché l’Università – più che di ruoli, professioni, prodotti di ricerca, “domande e offerte” didattiche, algoritmi – è fatta di esseri umani, forse avere studiato per una vita le discipline che hanno al centro l’uomo se non è un vantaggio, beh almeno non dovrebbe essere uno svantaggio.