Caro Ministro…

Negli ultimi anni il sistema universitario italiano non ha avuto né una guida chiara né autorevole e l’Università è praticamente scomparsa dal dibattitto pubblico sul futuro del Paese. Prima di ogni altra cosa è necessario che la Conferenza dei Rettori (CRUI), in accordo con il CUN, lavori per imporre la centralità del discorso sull’Università e sulla formazione superiore nell’agenda pubblica italiana.

Queste saranno le linee-guida del mio operato in tutti i contesti pubblici:

 

  • continuando a destinare le attuali, scarse risorse all’Università e alla ricerca, ai livelli più bassi in Europa, l’Italia si candida a rivestire nella società post-industriale un ruolo del tutto secondario e progressivamente sempre più marginale. Il Paese ne è consapevole?
  • Mentre quasi ovunque nel mondo aumenta decisamente la percentuale di giovani che prendono una laurea, in Italia ciò non avviene: c’è bisogno di accrescere decisamente il numero di laureati, fornendo loro una preparazione adatta a una società in veloce trasformazione;
  • l’ampliamento della no tax area è stato positivo, ma non può essere a carico degli Atenei: chi opera per assicurare ai ceti meno abbienti un’istruzione superiore e rilanciare l’ascensore sociale nel nostro Paese deve essere premiato, non penalizzato;
  • i meccanismi dell’offerta formativa vanno resi, a tutti i livelli, più elastici, per favorire l’adattamento della preparazione universitaria alle opportunità di un mondo del lavoro in trasformazione continua: requisiti per la sostenibilità dei corsi, tabelle delle classi di laurea e laurea magistrale devono accompagnare la programmazione didattica, non metterla in gabbia;
  • come era ampiamente prevedibile, l’Abilitazione Scientifica Nazionale ha sortito due effetti negativi: ha scaricato sulle sedi locali – e dunque nelle dinamiche di potere locale – buona parte della responsabilità del reclutamento; ha generato un diffuso sentimento di frustrazione e distacco dall’istituzione-Università in decine di migliaia di colleghe e colleghi. Dopo sei anni di “esperimento” si potranno apportare correttivi?
  • Uno degli obiettivi principali della Legge Gelmini, la creazione di una larga base di ricercatori e un ristretto vertice di piramide di ordinari, è stato largamente mancato. L’età media dei neo assunti di ruolo (ormai RTDb con abilitazione) cresce sempre di più, impoverendo di energie fresche il sistema-università. C’è bisogno di ripensare alla radice l’apporto dei giovani all’Università e alla ricerca.
  • Il dottorato di ricerca, sorto trent’anni fa come ciliegina su una torta già alta, è ormai diventato uno strato essenziale dell’offerta universitaria. Eppure è ancora spesso considerato – per la didattica, gli uffici, la carriera – qualcosa “in più”. Il dottorato di ricerca deve avere nel sistema-università e nel sistema delle carriere una diversa dignità e rappresentare lo strumento primo di internazionalizzazione della ricerca.
  • Bisogna dare un nuovo profilo alla struttura amministrativa dell’università italiana, eliminando gli sprechi clientelari e premiando chi lavora più e meglio. Questo non può essere raggiunto, ad esempio, con il metodo del contingente assunzionale comune personale docente/personale tecnico-amministrativo.
  • Non è possibile che si sappia in agosto quanti fondi un ateneo ha a disposizione per l’anno corrente, né che si sappia in dicembre quante nuove posizioni può attivare (nell’anno ormai trascorso). Soprattutto non è possibile che queste risorse siano assegnate in base a criteri resi noti al momento dell’assegnazione stessa. Come è possibile programmare alcunché, in questo modo?
  • Il sistema universitario deve essere governato secondo criteri trasparenti, chiari e possibilmente decisi e resi noti in anticipo. Più che di nuovi algoritmi o piani strategici, l’Università italiana ha bisogno di una vera, democratica guida politica.

Le linee-guida delle posizioni pubbliche che intendo seguire in materia di Università.